Un gesuita a Castelluccio

Un gesuita a Castelluccio è un articolo di Romano Cordella

C’è un personaggio della montagna di Norcia che nessuno conosce in patria ma che è molto noto nel Venezuela e nell’ambiente dei Gesuiti che gli hanno dedicato rispettivamente un francobollo e uno studio monografico nel bicentenario della morte (1989).

Si chiama padre Filippo Salvatore Gili S. J., nacque a Legogne di Norcia nel 1721 e morì a Roma appunto nel 1789. Trascorse molti anni della sua vita in una missione dell’Orinoco (allora facente parte del Regno di Spagna e che il Gili designa genericamente col termine di Terra Ferma) dove studiò costumi e lingue delle tribù locali.

Gili-Francobollo

Francobollo da 300 bolivar, dedicato a F.S.Gilij, emesso in Venezuela il 24 ottobre 1998. Fa parte dell’emissione “500 años de evangelisación”

Dopo essere ritornato in Italia pubblicò a Roma il “Saggio di storia americana”, opera divisa in quattro tomi contenenti il frutto dei suoi studi. Ancora oggi la lettura di questo saggio si rivela molto interessante. In un brano, ad esempio, il missionario gesuita allude alla coltura della patata da lui stesso introdotta a Legogne con ottimi risultati, primato che oggi potrebbe essere rivendicato dagli operatori agroturistici della zona. In un altro brano Gili narra di una sua escursione a Castelluccio che per il valore di testimonianza diretta e per rientrare nel filone della letteratura su Castelluccio merita di essere riprodotto tale e quale. Il passaggio si legge nel quarto tomo del “Saggio” alle pagine 38-39, laddove l’Autore mette in qualche modo a confronto la Terra Ferma e lo Stato Pontificio sotto l’aspetto del clima e delle altezze delle montagne. Paragonati alle Ande, dice, i monti dell’ Appennino sono “pigmei”. E tuttavia una certa similitudine di effetti si riscontra, mutatis mutandis, fra terre basse e terre alte dell’una e l’altra parte del mondo.

Gili-Saggio

 

Nella state dell’anno 1782, il caldo romano, secondo il termometro del Reamur, giunse a gradi 35. In Legogne, nelle montagne vicine a Norcia nella diocesi di Spoleto, ove io mi trattenni a villeggiare nell’anno medesimo da’ 18 di giugno fino a’ 5 di novembre, non arrivò mai a sorpassare i 25. Avvi più oltre, all’oriente di Legogne, un monte appellato Vetòre, il quale sollevasi altissimo sulle pianure celebratissime del Castelluccio, situate nella cima dell’Appennino sei miglia in circa da Norcia. Io mi ci portai a’ 3 di luglio, vago di osservare le rare naturali curiosità che di tanto in tanto vi sono ammirate da quelli che vannovi per erudito diporto. E oltre ad altre cose che vi notai, quella della variazione del clima parvemi singolarissima. Io non recai meco il termometro del Reamur, ma in cambio di esso mi furono maestri autorevoli e le piante selvatiche, diversissime da quelle del territorio di Legogne, e le biade di rubiglia, di segola e di orzo minuto in vece di quelle di grano netto, e sopra tutto la grata giornata e la freschissima notte che passai nel Castelluccio. Quel gentilissimo curato signor don Benedetto Pasqui [ma Pasqua, ndr ] vedendo la mia meraviglia mi assicurò che appena vi si conosce la state se non da’ coltivatori della campagna, con aggiugnermi non essere raro il caso che ne’ mesi di luglio e di agosto vi cada la brina, vi si geli l’acqua tenuta ne’ vasi e vi faccia infino la neve. Il che non parrà strano di molto a chi volga lo sguardo al monte Vetòre, la cui base posa al lato orientale della sovraccennata pianura rimpetto al Castelluccio. Questo monte a’ 3 di luglio aveva della neve in varj luoghi, e vengo certificato, da persone che vi si trattennero tutta la state alla guardia del bestiame, che vi durarono degli avvanzi fino a mezzo agosto, e che finalmente il primo dì di settembre ricaddevi di bel nuovo in gran copia”.

Gili-Elaboracion-del-casabe

Elaborazione del casabe, il pane degli indios. Dal libro di padre Gilij. In primo piano a destra un’india grattugia la yucca, mentre su una piastra si cucinano le torte di casabe. In “Lecturas, yantares y otros placeres

N.B. Don Benedetto Pasqua è ricordato per la sua ospitalità anche da un anonimo minorita norcino come si legge a p. 142 del volume Castelluccio di Norcia, il tetto dell’Umbria di Romano Cordella e Paolo Lollini (1988), libro quasi esaurito e in via di aggiornamento, anche con notizie tipo quella presentata qui in anteprima.
 
© Cordella, Lollini, 2012
 
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